Confronto stipendi in Italia e differenze con l’Europa
Ottenere un aumento dal proprio datore di lavoro costituisce sempre una buona arma per difendersi dal caro vita e dai bisogni costantemente in crescita nella vita di tutti i giorni.
Si guadagna un salario superiore grazie all’esperienza maturata e alle fatiche svolte nel corso degli anni, sia che si tratti di un lavoro da impiegato che da dirigente o operaio.
Conquistarlo tuttavia non è sempre facile soprattutto in tempi di crisi dove l’occupazione cala e mantenere il proprio posto con una busta paga sicura sembra sempre meno una certezza. Ma a fronte di fabbisogni economici piu’ elevati occorre scegliere: chiedere uno scatto o cambiare azienda? Innanzitutto occorre capire con esattezza se lo stipendio ricevuto sia in linea con il mercato. L’azienda, il settore presso il quale si lavora, il titolo di studi, sono tutti fattori che determinano la propria retribuzione.
Per farsi un’idea ci viene in aiuto un utile servizio internet denominato “Quanto mi pagano”. Un semplice modulo a risposte multiple si concluderà indicandovi il range di stipendio che mediamente percepisce una persona del vostro stesso livello. Il confronto delle retribuzioni è interessante soprattutto se si provano ad inserire gli stessi parametri modificando solo l’area geografica. Si potrà notare che in alcuni casi la differenza è considerevole.
Ecco l’indirizzo per consultare gli stipendi medi in Italia suddivisi per settore.
La situazione in Europa e il confronto con gli stipendi in Italia
Il confronto tra gli stipendi percepiti in Italia, rispetto a quelli della media europea, trova il nostro Paese in una situazione di svantaggio. Non solo perché il reddito medio netto annuo pro capite supera di poco i 23.000 euro, ma anche per ragioni strettamente connesse alla particolarità della situazione italiana. Da un lato, infatti, il Paese registra, da sempre, retribuzioni differenti, da nord a sud, rispecchiando, anche nel settore lavoro, le diversità storiche che spaccano la nostra nazione in due.
Per analizzare in maniera completa i dati statistici sugli stipendi in Italia ed Europa, tuttavia, occorre prendere in considerazione anche il costo della vita nei Paesi oggetto della comparazione. Infatti, prendendo in esame solo i valori numerici, omettendo quindi di analizzare il costo della vita, si rischia di cadere in un clamoroso errore: è vero, infatti, che in nazioni come il Belgio i salari superano abbondantemente quelli italiani, ma il costo della vita è notevolmente più alto rispetto a quello del nostro Paese. Prendendo in esame alcune spese per consumi di base, ad esempio, i fiamminghi sostengono, per l’affitto mensile di un bilocale, mediamente 1400 euro mensili; inoltre, devono affrontare costi molto alti per l’assicurazione sanitaria obbligatoria.
Fatte queste premesse, rimane il fatto che l’Italia non solo registra gli stipendi tra i più bassi d’Europa, ma ha una crescita rilevata di una percentuale molto bassa, solo l’1%. Paesi come la Bulgaria, in cui il costo orario di un lavoratore dipendente è stimato intorno ai 4 euro, il tasso di crescita dei salari, negli ultimi due anni, è stato di oltre l’80%.
Dunque, analizzando i dati, le differenze retributive tra i Paesi economicamente più benestanti, quali Svezia, Belgio e Germania, e quelli che costituiscono il fanalino di coda in ambito europeo, tra cui Italia, Portogallo e Grecia, affondano le basi anche nel costo della vita differente, a seconda delle nazioni coinvolte.
Il confronto tra Paesi: considerazioni e conclusioni
Quando si prende in considerazione il costo del lavoro, ci si riferisce all’importo lordo che il datore di lavoro sostiene per un lavoratore dipendente. Pertanto, gli oneri relativi al lavoro subordinato includono le imposte, i contributi sociali, pensionistici e quelli relativi all’assistenza sanitaria. In Italia, a differenza della maggioranza dei Paesi europei, questo comprende i ratei di tredicesima, quattordicesima, ove prevista, e al trattamento di fine rapporto. I contratti di lavoro dipendente in Germania prevedono dodici mensilità, niente TFR, a fronte di ritenute sociali e per l’assistenza sanitaria molto elevate, e trattenute dalla busta paga.
Ciò che tuttavia preoccupa maggiormente, riguardo al nostro Paese, non è solamente il basso livello degli stipendi medi, ma la prospettiva di crescita, almeno nel breve-medio periodo. Inoltre, secondo un recente studio, portato avanti dall’ETUC, acronimo di European Trade Unions Confederation, delinea alcuni dati sconfortanti, almeno per il nostro Paese, in cui i salari reali medi sarebbero addirittura scesi, rispetto a dieci anni fa, se comparati con l’andamento dell’inflazione. In Germania, invece, gli stipendi sono incrementati, nel corso dello stesso periodo, dell’11%, mentre in Francia sono aumentati del 7%.
Stando alle statistiche, e non solo, si ha la percezione che la crisi sia ancora un dato reale e presente, per molti lavori dipendenti in ambito europeo, tra cui quelli italiani. Il punto di vista dei sindacati attribuisce la responsabilità alle politiche di austerity portate avanti dai governi negli ultimi anni; una visione liberale, invece, punta il dito sul costo del lavoro troppo alto, che indebolisce le imprese e drena risorse anche dalla busta paga dei lavoratori.